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          | A dire il vero rimango sempre un po’ interdetto. Spesso ormai trovo fuori luogo la definizione di questo spazio del sito “segnalazioni”. Mi sembra sempre meno calzante. Ad ogni buon conto non credo ci voglia molto a capire che si tratta del mio posto delle fragole. Del luogo in cui serbare e mettere in memoria quello che nel cammino si incontra, che piace e si sedimenta nell’intimo. Nell'archivio è conservata invece una ampia prospettiva di eventi e fenomeni che il setaccio ha lasciato andare con gentilezza. |               
 
 
 
 Joseph Goldstein
 
 Un Cuore pieno di pace
 
 (prefazione di Corrado Pensa)
 
 Ed. La Parola 2009,  pp.113+XIV, € 13,00
 
        
          | Tra i molteplici modi di presentare “Un cuore pieno di pace” si sceglie di metterne il luce, in questo contesto, la strordinaria praticità, cercando cioè di comunicare al futuro lettore l'essenzialità del contenuto, tentando di lasciar emergere naturalmente i lasciti affettivi ed applicativi che questa preziosa lettura innesca. Amare e nutrire il cuore compassionevole richiede una volonta migliorativa e sperimentale attiva. Il salto da fare parte dunque dalle motivazioni: passare da una pratica che si radica in un miglioramento delle “condizioni all'intorno” in virtù di un principio di benessere essenzialmente individualista come fine nemmeno troppo nascosto, per approdare ad una pratica che apre questo orizzonte accomodante verso, ed aldilà, di una prospettiva illimitata. Ottenere la liberazione non per colmare un vuoto personale ma piuttosto, per rendere il proprio operare ed essere nel mondo leggero ed aperto. Dunque compassione come chiave e come cardine di un percorso impegnativo – la porta più stretta – ma possibile, perchè, - in virtù di una crescente empiricità e fiducia negli insegnamenti dharmici - non si sarebbe altrimenti enunciato.  Non è possibile interpretare questo insegnamento come residuale, cioè relegato solo ad alcuni “momenti” del quotidiano, in cui il meditante si immagina raccolto nella fissità di una indefessa pratica formale. In virtù di una profonda conoscenza del Dharma, con parole di grande chiarezza e semplicità – come evidenziato da Corrado Pensa nell'introduzione allo scritto -  Goldstein dipinge con gesto sicuro ed eloquente il complessivo affresco di una vita internamente dedicata alla attenta applicazione  di una forza volitiva continua ed incessante volta alla promozione del bene e della pace. (cp)
 presentazione In momenti diversi della nostra vita possiamo intravedere qualcosa al  di là della nostra realtà ordinaria e convenzionale, toccando uno  spazio che trasforma la nostra visione di noi stessi e del mondo. Come  la luce di una sola candela può dissolvere le tenebre di un migliaio di  anni, così nell’istante stesso in cui accendiamo una sola candela di  saggezza, non importa quanto sia inveterata o profonda la nostra  confusione, l’ignoranza è dissolta. Venite a vedere; guardate la vostra  vita in profondità, vedete coi vostri occhi. Questa è la vera natura  del viaggio spirituale.
 
 Joseph Goldstein (nato sulle Catskill Mountains, New York, nel 1944)  conduce ritiri di meditazione di consapevolezza e di gentilezza  amorevole in tutto il mondo dal 1974. È cofondatore dell’ Insight  Meditation Society nel Massachusetts, dove è uno degli insegnanti-guide  residenti. Nel 1989, insieme a numerosi altri insegnanti e allievi, ha  istituito il Barre Center for Buddhist Studies e in seguito il Forest  Refuge. Ha pubblicato molti libri, alcuni dei quali tradotti in  italiano.// http://www.dharma.org/ims/joseph_goldstein.html
  Edizioni La parola "Appunti di Viaggio" nasce a Roma alla fine degli anni ottanta, come un  "foglio" che descrive e accompagna l'esperienza di un gruppo di persone  che praticano una giornata di ritiro mensile basata sulla Meditazione  Profonda e sul silenzio. Un po' come facevano gli antichi Padri, che si  ritiravano nel deserto alla ricerca della esychìa, della "quiete  interiore", della pace del cuore, della immobilità e del silenzio della  mente. Nel 1991, dopo alcuni anni di cammino, questo "foglio" viene registrato  e comincia la sua vita ufficiale come rivista bimestrale. Oggi, dopo un  percorso di quindici anni che ci ha permesso di crescere e  consolidarci, la rivista sta approdando alla periodicità mensile,  perché pensiamo che sia questa la cadenza più appropriata per la nostra  pubblicazione. Comunque, per continuare a crescere in modo equilibrato,  abbiamo deciso che per qualche anno ancora prepareremo solo otto numeri  l'anno. Con il tempo è sorta l'esigenza di approfondire i temi legati al  cammino di meditazione e toccati dalla rivista. Per questo motivo sono  nate le "Edizioni Appunti di Viaggio", specializzate in testi di  ricerca spirituale e di meditazione silenziosa di radice cristiana,  oltre che nel dialogo ecumenico ed interreligioso.
 http://www.laparola.eu/
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 Shunryu Suzuki-roshi
 
 Mente zen, mente di principiante
 
 Astrolabio-Ubaldini 1976, pp.116, € 8,30
 
        
          | "La via del Bodhisattva è chiamata “la via della costanza mentale” o dei “binari ferroviari lunghi migliaia di miglia”. I binari sono sempre uguali. Se dovessero allargarsi o restringersi sarebbe un disastro. Dovunque andiate i binari sono sempre uguali. Questa è la via del Bodhisattva. Perciò, anche se il sole dovesse sorgere a ovest, una sola è la via del Bodhisattva. La sua via è esprimere ad ogni istante la propria natura e la propria sincerità. Abbiamo detto binari, ma in effetti nel caso nostro non c'è nulla del genere. La sincerità stessa costituisce i binari. Il panorama che si vede dal finestrino del treno cambierà, ma i binari su cui corriamo sono sempre uguali. E i binari non hanno nè inizio né fine: binari senza inizio e senza fine. Non esiste un punto di partenza, né una meta, niente da raggiungere. La nostra via è correre semplicemente sui binari e basta. Ecco la natura della pratica Zen. Ma, quando sorge in voi la curiosità per i binari, sorge il pericolo. Non dovete guardare i binari. Se guardate i binari vi verranno le vertigini. Limitatevi ad apprezzare la vista che si gode dal finestrino del treno. Ecco la nostra via. Non c'è alcun bisogno che i passeggeri vadano a curiosare in merito ai binari. (…) La natura di ognuno è sempre la stessa, come i binari." 
 Tratto dai discorsi che Suzuki-roshi teneva ai propri studenti Zen, questo libro è l'unica testimonianza scritta di un grande uomo, il quale, con le sue doti umane di semplicità, dolcezza, calore e umorismo, ha saputo comunicare agli occidentali, in una lingua occidentale, l'intimo significato dello Zen, collocandosi così, insieme a Watts, Krishnamurti e Trungpa, fra i protagonisti dell'incontro fra oriente religioso e occidente contemporaneo.
  Shunryu Suzuki-roshi (1904-1971), appartenente alla linea Soto Zen. Fu un diretto discendente spirituale del grande Dogen. Quando già godeva di una profonda reputazione quale maestro zen, nel 1958, all'età di cinquantatre anni, Suzuki-roshi giunse in America per quella che intendeva essere una breve visita. Fù però talmente impressionato dalla “mente di principiante” e dalla serietà incontrata fra gli americani interessati allo Zen che alla fine decise di rimanere in permanenza, stabilendosi a San Francisco. Grazie all'aflusso dei tanti che volevano unirsi a lui nella pratica, si costituì il gruppo di meditazione chiamato Zen Center.
 http://www.astrolabio-ubaldini.com/
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 Charlotte Joko Beck
 ckZen quotidiano. Amore e lavoro (prefazione di Corrado Pensa)  Astrolabio-Ubaldini 1991, pp.158, € 10,50  
        
          | "Possiamo paragonare la vita ad una casa; noi viviamo lì e la vita trascorre a modo suo. Conosciamo giornate buie e giorni sereni, e ogni tanto la casa ha bisogno di una mano di vernice. Gli abitanti della casa sono gli attori dello spettacolo che vi viene rappresentato. Ora stiamo bene ora siamo malati, ora siamo contenti e ora scontenti. Come tutti. Viviamo semplicemente la nostra vita in una casa e le cose accadono così come vogliono. Ma, e qui diventa importante la pratica, abbiamo una casa ma è come se fosse incapsulata in un'altra, (…) Viviamo in una bellissima casetta incapsulata dentro un'altra casa. La nostra vita (la casa) così come la viviamo è perfetta. Anche se non ci pare, non c'è niente di sbagliato. C'è quello che c'è. Purtroppo intorno alla casa che già abbiamo ne costruiamo un'altra. La pesantezza della costruzione esterna può far apparire la casetta scura e soffocata; lo strato esterno sembra impenetrabile, terrorizzante, deprimente. L'errore più grande, tanto nella vita quanto nella pratica, è pensare che la casetta (la nostra vita così com'è, con i suoi problemi e i suoi alti e bassi) abbia qualcosa che non va. Così ci affanniamo per tutta la vita a costruire una struttura aggiuntiva."  Nata nel New Jersey nel 1911, pianista presso l'Oberlin Conservatory of Music e madre di quattro figli, Charlotte Joko Beck si è avvicinata allo Zen solo verso i quarant'anni, quando è divenuta allieva di Maezumi Roshi, Yasutani Roshi e Soen Roshi. Dopo anni di pratica al centro Zen di Los Angeles, è stata riconosciuta terza erede nel dharma di Maezumi Roshi e, dal 1983, si è trasferita nel centro Zen di San Diego che ha lasciato nel luglio del 2006. Attualmente vive a Prescott in Arizona
 http://www.astrolabio-ubaldini.com/
   |  |        Barry Magid
 Guida Zen per non cercare la felicità
 
 Astrolabio - Ubaldini editore 2008, 160 p., € 15.00
 
        
          | "Zen e psicoanalisi sono due profonde discipline di  autoesplorazione e di trasformazione, ciascuna con la propria storia, i propri  metodi e i propri rituali complessi. Ciascuna può contare su praticanti leali e  provetti, adepti la cui vita è stata incommensurabilmente arricchita dalle  rispettive discipline, certi della verità alla base del proprio sistema,  avendola verificata in prima persona nella loro vita. Eppure, la profondità  stessa di queste esperienze autoconvalidanti mette ciascuna disciplina a  rischio di immaginarsi completa in se stessa, di credere di possedere  conoscenze uniche sulla natura umana, intuizioni inottenibili da chi non sia  passato per i particolari rigori di quella specifica disciplina, nonché a  rischio di presumere di non avere bisogno di stimoli o controlli esterni.In realtà, tuttavia, nessuna delle due discipline ha goduto di un successo  incontestato. Lo zen è sempre più negletto nelle sue terre d’origine ed è stata  messa seriamente in discussione l’importanza per la vita moderna, in oriente  come in occidente, di una disciplina monastica tradizionale, che ha preservato  e trasmesso lo zen per secoli. (….)  La psicoanalisi, pur offrendo ricche intuizioni ermeneutiche sulla natura della mente inconscia, ha visto ripetutamente contestata la sua efficacia clinica, dapprima da forme di psicoterapia clinicamente più misurabili, efficienti, centrate sul problema, e più recentemente a opera della psicofarmacologia e della ricerca neurofisiologica. (...) Pertanto sia lo zen sia la psicoanalisi, che lo vogliano o no ammettere, potrebbero aver bisogno di un aiuto esterno."
 Barry Magid è un esponente della Ordinary Mind Zen School, la scuola   fondata da Joko Beck e dai suoi successori che fa capo al centro zen di San   Diego e che testimonia una svolta molto interessante nel radicamento del   buddhismo zen in America. A differenza degli altri centri di meditazione,   affiliati per lo più a monasteri giapponesi delle scuole Rinzai e Soto, la   Ordinary Mind ha mantenuto gli elementi essenziali della pratica buddhista   tradizionale, eliminando però vesti monastiche, lignaggi, nomi dharmici e,   soprattutto, quel rigore poco adatto agli occidentali che devono far combaciare   lo zazen con tutti gli impegni di una vita laica.Lo zendo newyorkese guidato da Barry Magid, in particolare, si rivolge   soprattutto alle esigenze di coloro che desiderano integrare la pratica zen con   la pratica psicoterapeutica, sia in veste di pazienti sia di terapeuti in   training. In questo libro l'autore spazia dai grandi maestri zen del passato a   Socrate, Piatone, Hume, Wittgenstein e Freud, ribadendo la necessità di   coniugare l'eredità dell'Oriente con i conseguimenti della filosofia e della   psicoanalisi occidentali, nella certezza che la verità assoluta non sia   appannaggio di nessun credo e nessuna cultura.
 
 :.... http://www.ordinarymind.com/
 
 :.... http://www.astrolabio-ubaldini.com/
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          | MayaLetteralmente: anti-dio, Asura.
 Architetto di grande abilità. 
              Illusione cosmica.
 Inganno -in virtù del quale il divino 
              si manifesta nella molteplicità 
              materiale così che il mondo 
              fenomenico possa apparire reale
 riporto 
              - le dita corrono sulla tastiera- cittavritti 
              niroda che come spire affiorano: ecco la trascrizione  Maya 
                    l’architetto: parla Arjuna 
               “Arjuna” 
              la voce del dèmone era così dolce e gentile che cercai 
              di capire da dove venisse. Le sue zanne da 
              pantera gli scendevano sopra le labbra sorridenti. Cadde 
              ai miei piedi. “io sono Maya, l’architetto degli Asura 
              “. Sentivo la sua guancia umida sul mio piede. “Quale 
              buona azione posso fare per te, Arjuna?”. Percepivo la sua 
              amicizia e il suo amore. Mi chinai per sollevarlo mischiando le 
              mie lacrime alle sue. (…) “Io 
              sono il dèmone architetto, il grande artefice. Concedimi 
              un'altra grazia. Concedimi di fare comunque qualcosa per te” 
              (…) Valutai la sua richiesta.“ Non posso pensare di meritare alcuna ricompensa, ma vorrei 
              a mia volta accontentarti. Fa qualcosa per il mio amico e fratello 
              Krishna è sarà come se lo facessi per me.” 
              (…) Maya si girò verso Krishna, che 
              già guardava al futuro.
 Dopo 
              un attimo di riflessione, Krishna disse: “Costruisci per Yudhishthira 
              una Sala di Riunione come non se ne 
              vedrà mai un'altra sull’ effimera 
              faccia della terra. Fa che sia allo stesso tempo umana e 
              divina per mezzo di un ispirazione celeste. Lascia che l’ispirazione divina fonda tutto in un'unica armonia” Tornammo 
              al palazzo in silenzio. Fu una fortuna che l’instancabile Maya fosse là a distrarci. 
              Con il suo genio e la sua enorme energia aveva 
              delimitato diecimila cubiti in una zona percorsa da dolci brezze 
              in estate e temperata in inverno. Lì sarebbe sorta Mayasabha, la Sala 
              delle Assemblee. Completati i preliminari, nel giorno propizio, 
              i sacerdoti vennero nutriti e ricevettero mucche e oro, sete e ogni 
              cosa che i Bramini tenessero in gran conto. Maya ci consultava per 
              questo o quel problema e quando fummo storditi dalla varietà 
              delle sue richieste, ci comunico che doveva andare al monte Kailasa 
              dove aveva seppellito i gioielli di cui aveva bisogno per esprimere 
              lo splendore che aveva colpito la sua mente.
 Avevo 
              dimenticato quanto fosse orrido e nel contempo allegro fino a quando, 
              al suo ritorno, non rividi le sue zanne pendere dalle labbra sorridenti, 
              mentre rovesciava sul terreno, da una falda dell’abito, le 
              gemme più preziose che avessimo mai visto. Non credevamo 
              ai nostri occhi. Dietro di lui vi erano migliaia di repellenti schiavi 
              che portavano, ancora e ancora gemme e marmi (…) Maya fu in grado di soddisfare definitivamente il suo desiderio 
              di ricompensarmi: aveva portato dal fondo del lago di montagna, 
              la grande conchiglia Devadatta. La suonai e sentii il cuore lacerarsi 
              (…)
 Quindi si mise al lavoro. Fummo pregati di non avvicinarci alla 
              costruzione fino a quando non fosse terminata. (…) Quando 
              infine andammo a visitare l’edificio, restammo quasi accecati 
              dall’abbagliante luce bianca che proveniva e, quando, proteggendo 
              i nostri occhi, superammo la soglia incastonata di gemme e avanzammo 
              in una penombra trapassata da sottili lame di luce che si intersecavano 
              l’un l’altra, restammo non tanto sorpresi quanto 
              completamente ammutoliti. Ogni stanchezza, 
              ogni necessità ci avevano lasciati. Questa era una 
              sala per grandi eventi e il luogo di incontro 
              di immense energie.
 Una 
              cosa era stato osservare da lontano ottomila seguaci di Maya innalzare 
              il gigantesco edificio mentre le sue sentinelle sembravano calpestare 
              l’aria, un'altra era trovarsi sotto le volte del soffitto 
              e vederlo riflesso nello stagno dei loti. Anche lo stagno era una 
              meraviglia, adornato con boccioli e foglie di pietre preziose, con 
              gemme a forma di uccelli posati su di esse. Tartarughe dorate nuotavano 
              pacatamente nelle acque profumate. L’onda che lambiva le scale 
              di marmo era increspata da un fresco e leggero vento. Gocce di pioggia 
              simile a perle, cadevano da una fontana e bianchi cigni solcavano 
              lo stagno sotto le fronde di alberi in fiore. Estratto 
              da:...   |  
        
          | Maggi 
              Lidchi Grassi Mahabharata, 
              primo volume. La battaglia di Kurukshetra. Ed. 
                      Crisalide 2005, 412 
              p., € 
              24,50 Milioni 
              di persone sono rimaste affascinate dalla Bhagavad Gita', 'il Canto 
              del Beato', che del Mahabharata e' parte, pochissimi conoscono il 
              Mahabharata. Leggere la Bhagavad Gita' senza conoscere il Mahabharata 
              e' come leggere ' Il Sermone sulla Montagna' senza sapere niente 
              di Cristo, della sua nascita, della sua vita e della sua morte. 
              La spiritualita', il mito, la leggenda, l'epopea, la religiosita', 
              l'etica, la morale e la vita dell'antica India. Dei e semidei; re, 
              regine, principi e sacerdoti; maestri e discepoli; veggenti e divinazioni; 
              eserciti, battaglie e duelli; bagliori di diademi, di spade e di 
              armi soprannaturali; nitriti di cavalli, barriti di elefanti e fragore 
              di conche; eroismi, meschinita' e tradimenti; riti, sacrifici, magie, 
              incantesimi; opulenze ed ascetismi...Tutto cio' traspare nella versione del Mahabharata di Maggi Lidchi-Grassi, 
              nella sua poesia, nel suo intreccio narrativo, nelle sue caratterizzazioni 
              dei vari tipi umani, nella sua freschezza e immediatezza poetica 
              che conserva e mette in evidenza il sentimento e l'umanità, 
              l'indole intima e l'esteriorita' dei singoli personaggi.
 La versione di Maggi Lidchi Grassi, tra tutte quelle conosciute 
              in India, e' quella che maggiormente mette questo grande libro alla 
              portata di tutti - pandit, intellettuali, il grande pubblico, adolescenti 
              - senza nulla togliere al filone principale dell'originale.
 Pradip Bhattacharya, il maggior critico indiano del Mahabharata 
              dice di Maggi Lidchi-Grassi: Ha raccontato il Mahabharata come mai 
              e' stato fatto prima, ha saputo infondere vita ai personaggi. La 
              piu grande rivista letteraria indiana afferma: 'Di tutte le versioni 
              quella di Maggi Lidchi-Grassi e' la piu' appassionata, la piu' sincera, 
              la piu' commovente.
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 in libreria :.... di Eugenio Montale Ossi di seppia
 
        
          | Ossi di seppia  è un libro di gioventù sulla cui nascita non esistono documenti formali e testimonianze dirette da parte dell'autore. Quando la raccolta viene pubblicata, nel 1925, a Torino, per le edizioni gobettiane di "Rivoluzione liberale", essa è il frutto di una selezione severa operata dal poeta tra le liriche giovanili - quelle che lui stesso definirà "protomontaliane". Ossi di seppia  comprende 58 liriche, raccolte in quattro sezioni: Movimenti , Ossi di seppia , Mediterraneo , Meriggi ed ombre ; a questi fanno da cornice una introduzione (In limine) e una conclusione (Riviere).
 (....)Un rovello è di qua dall'erto muro.
 Se procedi t'imbatti
 tu forse nel fantasma che ti salva:
 si compongono qui le storie, gli atti
 scancellati pel giuoco del futuro.
 
 Cerca una maglia rotta nella rete
 che ci stringe, tu balza fuori, fuggi!
 Va, per te l'ho pregato, - ora la sete
 mi sarà lieve, meno acre la ruggine...
 
 un estratto da In limine
 
 
 
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 in 
        libreria :.... 
        di 
        Henry 
              David Thoreau
 Camminare
 Ed.SE 
                1989, 80 p., € 
                10,00
 
         
          | Ecco 
              che -come per Pynchon, per Rossi o Snodgrass tra gli altri- la forza 
              del pensiero raccolta tra le righe dell’ultima lettura è 
              tale che decido di trascriverne alcuni passaggi per legarli alla 
              mia proiezione digitale. La voce di Henry 
              David Thoreau, il Trascendentalista: “La 
              mia esistenza dipende in gran parte dalle paludi che circondano 
              la città, e non dai giardini ben coltivati che circondano 
              il villaggio. Non vi è tappeto erboso più ricco ai 
              miei occhi del folto letto di andromeda nana che ricopre questi 
              teneri luoghi della superficie terrestre. La botanica può 
              solo fornirmi i nomi degli arbusti che vi crescono: il mirtillo 
              gigante, l’andromeda a pannocchia, la kalmia, l’azalea 
              e il rododendro; e tutti vivono nel mobile stagno. Spesso penso 
              che mi piacerebbe avere davanti a casa questa massa di cespugli 
              rosso scuro, e farei volentieri a meno di bordi e aiuole fiorite, 
              di abeti trapiantati, di vasi ordinati e vialetti di ghiaia; e mi 
              piacerebbe avere questa macchia fertile sotto le finestre, al posto 
              di quel pugno di terra trasportato da chissà dove per coprire 
              la sabbia residua dello scavo della cantina. Perché non costruire 
              la casa, la veranda, in prossimità di questa vegetazione, 
              anziché accanto a quello scarno agglomerato di curiosità, 
              a quella miserabile apologia della Natura e dell’Arte, che 
              viene chiamato giardino?” E 
              poco più avanti  “Spostiamo 
              dunque la soglia di casa sul limitare della palude (sebbene non 
              sia il punto migliore per una cantina asciutta), così che 
              da quel lato i vicini non possano entrare. I giardini sul davanti 
              delle case non sono fatti per camminarvi, ma semmai per essere attraversati, 
              e si può sempre entrare dalla porta posteriore” Città, 
              fioritura di poeti e filosofi “Entro 
              in una palude come in un luogo sacro, come in un sanctum sanctorum. 
              Qui risiede la forza, l quintessenza della Natura. La vegetazione 
              selvatica ricopre il terreno argilloso, e la terra è benefica 
              sia per l’uomo che per gli alberi. E come la terra ha bisogno 
              di molto concime per essere fertile, così necessitano all’uomo, 
              per la sua salute, grandi spazi intorno a se. Nella palude si trovano 
              le sostanze forti di cui l’uomo si nutre. La sopravvivenza 
              di una città non dipende dalla rettitudine degli uomini che 
              vi risiedono, ma dai boschi e dalle paludi che la circondano. Una 
              regione in cui una foresta primitiva affondi le proprie radici nel 
              materiale decomposto di un'altra foresta primitiva è un territorio 
              che favorisce non soltanto la fioritura di grano e di patate, ma 
              anche di poeti e filosofi per le generazioni a venire. Da questo 
              tipo di terreno sono sorti Omero e Confucio e gli altri come loro, 
              e da distese selvagge come queste giunge il Riformatore che si nutre 
              di locuste e miele selvatico” Henry 
              David Thoreau: 
              nasce a Concord ( Massachusetts) nel 1817, seguace di R. W. Emerson, 
              fu una delle figure di spicco del movimento trascendentalista. Nel 
              1845, determinato a mettere in pratica i propri ideali, andò 
              a vivere in una capanna sul lago Walden per due anni. Un esperienza 
              che gli ispirò la scrittura del Walden, 
              ovvero La vita nei boschi (1854), un'opera a metà 
              strada tra il saggio filosofico e il diario che oggi viene unanimemente 
              considerata tra i classici della letteratura americana. Insieme 
              al Walden, il suo scritto più famoso e influente è 
              Disobbedienza civile, un opuscolo 
              del 1849 nel quale Thoreau teorizzava l'idea dell'opposizione non 
              violenta. Morì nel 1862
 
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 in libreria :.... di Joseph Conrad
 
 Tifone
 
 
 
        
          | Teodor Józef Konrad Korzeniowski è un gigante.
 Tutto è concentrato nella forza accelerante di quel “e giunse il vero finimondo” punto imprecisato in cui tutto si solidifica e riposa. Un luogo fisico tangibile della letteratura e dell'animo umano più profondo. Da cui, a seguire, si ridiscende poderosamente lungo il dorso dell'onda vertiginosa che ci sbatte e sfiacca trascinandoci attraverso una corsa inarrestabile e turbolenta.
 
 Poi la mente irrompe ed aderisce alla sua vera Natura, niente pie illusioni: nessuna condivisione “in un istante gli uomini perdettero ogni contatto fra di loro.” Il Tifone al contrario di altre catastrofi che colpiscono senza passione, ci si abbarbica nella mente e ci devasta: umano non umano. O forse troppo umano. Ad ogni modo eterno, immanente e silenzioso Conrad.
 
 Se si può considerare oggi una perdita di tempo riscrivere due pagine di questo capolavoro non so, ma le cose belle sono utili all'anima. e quelle che seguono sono forse le pagine migliori che ho letto (cp)
 "Jukes pensò «Questo non è uno scherzo». D'improvviso, mentre urlava per capirsi col capitano, le tenebre più fitte invasero la notte, calando davanti a loro, come qualcosa di palpabile. Pareva di fossero spente tutte le luci nascoste del mondo. Jukes incoscientemente fu lieto di avere vicino il capitano. Ne era sollevato come se quell'uomo, colla sua sola comparsa in coperta, si fosse preso sulle spalle il peso maggiore della burrasca. Tale è il prestigio, il privilegio e il peso del comando. Da nessuno al mondo il capitano MacWhirr poteva attendere un simile sollievo. Tale è la solitudine del comando. Con la vigile attenzione del marinaio che guarda nella direzione del vento come negli occhi di un avversario, cercava di capire, di scrutare le intenzioni recondite e d'indovinare la direzione e la forza dell'urto. Il vento forte gli balzava addosso da un immensa oscurità; egli sentiva sotto i piedi l'inquietudine della nave, e non poteva nemmeno distinguerne l'ombra della sagoma. Avrebbe voluto che non fosse così; e aspettò immobile, sentendosi prendere dalla disperazione d'un cieco. 
 Facesse chiaro o scuro, il silenzio era nella sua natura. Jukes, al suo fianco, riuscì a farsi sentire, gridando con tutta la forza tra le raffiche: - il peggio è arrivato di colpo, capitano -. Il tenue sprazzo di un lampo tremolò tutto intorno, come balenasse in una caverna – in una nera e remota camera del mare, con un pavimento di creste spumeggianti.
 
 Per un attimo sinistro e sconcertante esso rivelò il banco delle nuvole a brandelli che gravavano basse, il violento sbandare della lunga forma della nave, le nere figure degli uomini sorpresi sul ponte di comando, volti a proravia, come pietrificati nell'atto di cozzare. Le tenebre ridiscesero palpitanti su tutto ciò, e quindi giunse il vero finimondo.
 
 Fu qualcosa di formidabile e istantaneo, come l'improvviso scoppio di uno sfrenato sfogo d'ira. Sembrò esplodere tutt'intorno alla nave con un urto tremendo e un irrompere immane di acque, come se sopravvento si fosse schiantata una diga enorme. In un istante gli uomini perdettero il contatto fra di loro. Questo è il potere di disgregazione di un uragano: isola l'individuo dai suoi simili. Il terremoto, la frana, la valanga colpiscono l'uomo a caso, per così dire – senza passione. La furia della tempesta invece lo assale come un nemico personale, cerca di attanagliare le sue membra, di abbarbicarglisi nella mente, tenta di mettere allo sbaraglio persino il suo animo."
 estratto da Tifonenella traduzione di Ugo Mursia
 Einaudi tascabili, 2003, € 7,80
 
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 Mircea 
        Eliade
 I 
          RITI DEL COSTRUIRE. Commenti 
            alla leggenda di Mastro Manole, La Mandragola e i miti della "Nascita 
            miracolosa", Le erbe sotto la croce...
 Jaca 
              Books, Milano 1990, 208 p., € 12,39
 
         
          | L'architettura- 
              a partire dalla sua stessa radice etimologica - è la proiezione 
              nel mondo reale dell'archetipo cosmico, ne costituisce il simbolo 
              e la rappresentazione. L'atto del costruire è ripetizione 
              e corrispondenza fra creazione e fondazione, Eternità e Tempo. 
              Non sono concetti anacronistici, perché a queste riflessioni 
              non deve seguire necessariamente una codificazione formale specifica, 
              uno stilema, ma altresì una consapevolezza complessiva dei 
              significati che si cristallizzano nelle forme e nella plastica dei 
              volumi. Analogie rimandi contenuti fluiscono anche in modo inconsapevole 
              ed inconscio. Le ricerche e gli studi di Eliade svelano questo patrimonio 
              collettivo condiviso, è un viaggio verso il profondo, una 
              pesca all'interno del lago dell'anima più intima e nascosta 
              del manufatto stesso. Quello che segue è un breve estratto 
              dal testo "La scelta del luogo e la consacrazione del "centro" 
              contenuto ne " I riti del costruire" 
              (cp) In 
              verità, se ogni atto di presa di possesso o di costruzione 
              è imitazione dell'archetipo cosmico della Creazione del Mondo, 
              allora quest'atto deve aver luogo nel "centro" del mondo, 
              poiché secondo molte tradizioni la Creazione è cominciata 
              da un centro. Il serpente tellurico riposa attorcigliato sotto terra 
              ma la sua testa si trova esattamente al centro della terra. La costruzione 
              di ogni casa implica il trafiggere la testa del grande serpente 
              e quindi presuppone la creazione rituale del "centro". 
              Evidentemente, lo spazio in cui si colloca questo "centro" 
              non è il nostro spazio, profano, poiché altrimenti 
              sarebbe impossibile la molteplicità dei "centri"; 
              ora, tanto gli indiani quanto gli altri popoli i quali credono che 
              ogni casa da loro costruita si trovi esattamente nell' "ombelico 
              della terra", non dubitano né della unicità del 
              "centro", né della molteplicità delle case, 
              dei templi, delle città, ecc. L'unicità del "centro" 
              è convalidata metafisicamente, poiché nulla può 
              durare se non è realizzato nel reale, cioè in conformità 
              con l'archetipo cosmico della Creazione; la molteplicità 
              del "centro" è un dato dell' esperienza immediata. 
              Ma questa esperienza immediata, profana, conosce un altro spazio 
              diverso da quello mitico e metafisico, così come conosce 
              un altro tempo. I rituali avvengono sempre ab origine, nello 
              stesso tempo mitico dell'inizio, che non scorre e non è irreversibile. 
              Come tutti i rituali avvengono entro lo stesso tempo mitico. 
              La "coincidenza" tra il tempo mitico e il tempo concreto, 
              tra lo spazio mitico e lo spazio dei nostri sensi, si ottiene attraverso 
              lo stesso paradosso rituale che rende possibile la coincidenza tra 
              tutto e parte, tra essere e non essere, 
              tra effimero e immortale, ecc.Il rituale della fissazione della testa del Serpente per mezzo del 
              picchetto sotto la pietra d'angolo non avviene solo in uno spazio 
              mitico ( cioè, al "centro" del mondo ), ma anche 
              in un tempo mitico. In verità, esso non è che la ripetizione 
              del gesto primordiale degli dei quando hanno reso stabile la terra.
 Mircea 
              Eliade nacque a Bucarest nel 1907. Si formò come filosofo 
              e storico delle religioni all'Università di Bucarest, sotto 
              l'influenza di N. Ionescu. Negli anni 1927-28 fu a Roma dove poté 
              assistere alle lezioni di G. Gentile. Studiò poi all'Università 
              di Calcutta con S. Dasgupta e nell'eremitaggio di Rishikesh sull'Himalaia. 
              Fu addetto culturale rumeno prima a Londra, nel 1940-41, e successivamente 
              a Lisbona (1941-1944). Dopo la seconda guerra mondiale si trasferì 
              a Parigi dove insegnò all'École des Hautes Études 
              e nel 1957 ottenne la cattedra di storia delle religioni all'Università 
              di Chicago. È morto a Chicago il 23 aprile 1986. Oltre ad 
              aver scritto alcune opere generali di storia delle religioni (Trattato 
              di storia delle religioni, 1949, e Il mito dell'eterno ritorno, 
              1949), Eliade è ricordato come uno dei maggiori specialisti 
              dello sciamanesimo, dello yoga e dei rapporti tra magia e alchimia. 
              Le sue opere principali sono: Lo sciamanesimo e le tecniche dell'estasi 
              (1951); Lo yoga. Immortalità e libertà (1954); Alchimia 
              asiatica, (1935-1937); Arti del metallo e alchimisti, (1956); Il 
              sacro e il profano, (1956). |  |  
 
 
 
 
 
 
 
 Adrian 
        Snodgrass
 
 ARCHITETTURA, 
          TEMPO, ETERNITÀ Il simbolismo degli 
            astri e del tempo nellarchitettura della Tradizione.
 (edizione 
              italiana curata da Guglielmo Bilancioni)
 
 Bruno Mondadori, Milano 2004., 600 p., € 45,00
 
         
          | Come 
              salvarsi dalla vacuità che ci pervade? Come sopravvivere 
              all'effimero dominante? Come reagire alla commercializzazione ed 
              alla svendita delle teorie, alla pleiade di etichette, alla commercializzazione 
              forzata delle idee e dei percorsi architettonici? Come resistere 
              al nulla contemporaneo fatto di plastica e glamour?Lo studio di Snodgrass è un utile antidoto in questi tempi 
              di reality architecture e di Hyper-all di Logo vs Luogo e di architettura 
              anagrafica;
 Ecco qualcosa di solido sul quale fondare, l'appiglio utile a sostenersi 
              durante la caduta, la Stella Polare, il Sole Stazionario ed il mozzo 
              della Ruota del Tempo, Architecture, Time and Eternity si 
              apre con un importante saggio introduttivo "I cardini celesti 
              dell'architettura sacra" scritto dallo storico dell'architettura 
              Guglielmo Bilancioni curatore dell'intera edizione italiana. Quello 
              che segue è un breve estratto trascritto di mio pugno, cruciale 
              e di sconcertante chiarezza.(cp)
 Tempo, 
              Eternità e FormeIl mondo sensibile è il mondo del tempo; il mondo intelligibile 
              è il mondo dell'Eternità. Il tempo, coincidendo con 
              ciò che fluisce ed è effimero, non è reale: 
              è solo una copia, un imitazione, di una Forma immutabile, 
              l'Eternità. L'ascesa del regno del sensibile a quello intelligibile, 
              dall'opinione alla conoscenza reale, è un ascesa dal temporale 
              all'eterno. Il tempo sta all'eternità come il divenire del 
              mondo sensibile sta all'essere intelligibile. Del mondo intelligibile 
              delle Forme non si può dire che è stato o che 
              sarà ma solo che è. Le Idee sono puramente 
              presenti; non sono mai state né mai saranno, ma risiedono 
              in un Ora istantaneo. Ne consegue che la condizione per la comprensione 
              del tempo sia una comprensione poetica del suo paradigma formale 
              che sta nel regno intelligibile: un intuizione non-temporale è 
              la condizione per interpretare il mondo temporale. E' necessario 
              passare dal tempo all' Ora puntuale che non è nello spazio 
              né nel tempo, ma in ogni luogo e in ogni tempo...
 
 Architecture, 
              Time and Eternity è 
              un libro prodigioso che studia le relazioni 
              fra l'eternità degli astri e la misura del costruire. Le 
              grandi architetture del mondo - Stupa, templi in forma di Mandala, 
              piramidi, edifici a pianta centrale, moschee e cattedrali - vengono 
              mostrate come simboli, riflesso e miniatura dei fenomeni cosmici. 
              Snodgrass spiega, con chiarezza esemplare, la precisione del rito, 
              la potenza del mito e la sede stellare di ciò che è 
              grande e perfetto. Cicli e sistemi, orientamenti e assi, misura, 
              colore, proporzione, massa e ornamento, sono Significati: sono i 
              cardini del cielo dell'architettura sacra. Alla confluenza di spazio 
              e tempo, prima dell'Antico e della Storia, le meraviglie costruite 
              nel mondo sono emblemi dell'Uno, stabili custodi della Parola e 
              arcaiche macchine di memoria; esse indicano, a chi le guardi come 
              tali, la via per contemplare l'eterna architettura dell'interiorità. Adrian 
              Snodgrass , architetto, ha 
              vissuto in India, Giappone, Hong Kong e Indonesia. Insegna Architettura 
              e Filosofia ermeneutica all'Università di Sydney. Ha pubblicato 
              un libro fondamentale sullo Stupa buddhista, The Symbolism of the 
              Stupa (Ithaca, New York 1985) e un vasto studio sui Mandala del 
              buddhismo Shingon, The Matrix and Diamond World Mandalas in Shingon 
              Buddhism (Aditya, New Delhi 1988). |  |  
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 Aldo 
        Rossi
 
 Autobiografia 
          scientifica
 
 Nuova Pratiche Editrice, Collana 
              Nuovi Saggi, Milano 
                1999, 123 pp. , con illustrazioni
 
         
          | Pubblicata 
            in inglese nel 1981 per volontà 
            di Philip Johnson ma edita in 
              Italia solo nel 1990 l'Autobiografia scientifica è 
            una lettura meravigliosa ed affascinante, un percorso poetico attraverso 
            il quale poter scoprire il portato condiviso dell'architettura, 
            cosa tra le cose e scenario di un agire che tutto contempla e raccoglie. Colpisce e rattrista l'insolito silenzio che circonda quest'opera 
            in Italia -quasi costituisse una testimonianza trascurabile e scomoda.
 Di contro, L'Autobiografia rimane una preziosa fonte di ispirazione 
            per molti ed apprezzati progettisti contemporanei d'oltralpe le 
            cui architetture, talvolta ed in modo troppo sbrigativo tacciate 
            di un eccessivo minimalismo, assumono -se rilette alla luce delle 
            riflessioni intime di Aldo Rossi- molteplici motivi di interesse 
            e di curiosità. Un punto di partenza necessario per chi è 
            interessato alla ricerca in ambito compositivo e progettuale, nella 
            speranza di far maturare in Italia nuovi e più fecondi linguaggi 
            architettonici (cp)
 
 " 
              Potete leggere il progetto semplicemente nelle case 
                esistenti, sceglierlo da un repertorio che vi procurate facilmente; 
                inseguirlo nelle varianti della regia, 
                nelle battute dell'attore, nel clima 
                  del teatro e sempre sorpresi dalle incertezze del principe 
                Amleto di cui non sapremo mai se era veramente un buon principe 
                come tutto sembra farci credere. Forse sarebbe solo questo il progetto dove le analogie identificandosi 
              con le cose raggiungono di nuovo il silenzio.
 I rapporti sono un cerchio non chiuso; 
                solo uno sciocco potrebbe pensare di aggiungere il tratto mancante 
                o di cambiare il senso del cerchio. Non nel 
                  purismo ma nella illimitata contaminatio 
                  delle cose, delle corrispondenze, 
                  ritorna il silenzio; il disegno può forse suggerire 
                    e mentre si limita si amplia alla memoria, agli oggetti, alle occasioni.
 Il progetto insegue questa trama di nessi, 
                    di ricordi, di 
                      immagini pur sapendo che alla fine dovrà definire 
                    questa o quella soluzione; dall'altra parte l'originale, vero o 
                    presunto, sarà un oggetto oscuro che si identifica con la 
                    copia.
 Anche la tecnica qui sembra arrestarsi 
                  ad una soglia dove la disciplina si dissolve.
 Fotografie, rilievi, disegni, il canovaccio 
                      di una commedia, la sceneggiatura di 
                        un film.
 Forse un ritratto.
 Qui si può arrestare l'elenco dei progetti o, se si vuole, 
                    iniziare una smisurata ricerca delle cose. 
                    Ricerca che è anche ricordo ma 
                    è soprattutto l'aspetto sterminatore dell'esperienza 
                  che procede imprevista dando e togliendo significato ad ogni progetto, 
              avvenimento, cosa o persona."
 Aldo 
              Rossi, Autobiografia scientifica, ed. Pratiche editrice, 
              Parma 1990, p.45 (In 
              relazione al "progetto di villa con interno") |   
 |  
 
 
 
 
 Anthony  Vidler
 
 Il perturbante dell'architettura. Saggi sul disagio nell'età contemporanea
 
 Biblioteca Einaudi 2006, €22,50
 
        
          | La sensazione perturbante dello straniamento e   dell'ansia all'interno delle pareti domestiche e nello spazio urbano ha una   storia che inizia, contemporaneamente al concetto di paesaggio, alla fine del   XVIII secolo e si consolida nel successivo. Nella letteratura, il tema   dell'inquietudine e dell'oscuro nella vita quotidiana comincia a essere   esplorato da scrittori come Hoffmann e Poe. Freud e Lacan, dopo di loro, ne   hanno trattato dal punto di vista psicoanalitico. Ed è la nozione freudiana di   perturbante a essere al centro della raccolta di saggi scritti tra il 1982 e il   1992 da Anthony Vidler.In questi testi, che spaziano fra letteratura,   architettura e urbanistica, il perturbante è fatto risalire a un'insicurezza di   fondo: quella di una classe di recente formazione, la borghesia, che "ancora non   si sentiva al sicuro a casa propria" (John Fowles in La donna del tenente   francese parla della borghesia come dell'unica classe sociale consapevole   della propria inadeguatezza, ma proprio per questo feconda). Il perturbante è   l'archetipo delle paure borghesi, a metà tra la ricerca della sicurezza   materiale e il piacere del terrore. Per Benjamin, questa sensazione fu esito   della formazione delle metropoli, dell'apparizione delle folle brulicanti e   delle inedite proporzioni assunte dagli spazi urbani. Un senso di straniamento   rafforzato dalla raggiunta consapevolezza della natura transitoria di ogni   certezza ottocentesca: storia e natura "che mostravano l'impossibilità di vivere   confortevolmente nel mondo".
 Se nel Settecento il perturbante si riferiva   allo spazio interno domestico, alla fine dell'Ottocento il suo territorio era   ancora un interno: quello della mente, con i sintomi della paura spaziale e   temporale. In entrambi i casi il perturbante emergeva, secondo Freud, dalla   trasformazione di qualcosa di familiare in qualcosa di diverso, qualcosa di   rimosso che riaffiora. In questo "meccanismo", sostiene de Certeau in Storia   e psicoanalisi, "se il passato (che ha avuto luogo e preso forma a partire   da un momento decisivo nel corso di una crisi) viene rimosso, esso ritorna – ma   in forma surrettizia – all'interno del presente da cui è stato escluso. (…) In   termini più generali, ogni ordine autonomo si costituisce in virtù di ciò che   elimina producendo un 'residuo' condannato all'oblio. Ma ciò che viene escluso   si insinua nuovamente all'interno di questo luogo 'puro', ne prende di nuovo   possesso, lo turba, rende illusoria la consapevolezza del presente di essere a   'casa propria', si nasconde nella dimora". Il perturbante, come il sublime, è   perciò un concetto non definibile razionalmente, che denota non un'entità ma una   qualità, espressione di un sentimento soggettivo, di una frattura, una divisione   o un raddoppio della soggettività.
 I temi del residuo, del territorio oscuro,   discussi in forme diverse anche da Gilles Clément e da Rem Koolhaas, sono   utilizzati da Vidler come strumento di esplorazione di più fenomeni artistici e   sociali contemporaneamente, istituendo nessi tra campi disciplinari diversi e   moltiplicando i riferimenti."
 Antonio di Campli
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   |          Jacques GublerLe cartoline di Casabella. 1982-1996. Cara signora TosoniSkira 2005, €30,00  
        
          | Questo originale volume presenta 129 cartoline inviate da  Jacques Gubler a Myriam Tosoni (la bravissima segretaria di redazione di  "Casabella") dal 1982 al 1996: frammenti di rara acutezza,  accompagnati da una sottile ironia nei confronti della relazione tra società e  cultura Come spiega lo stesso Gregotti: "Le prime cartoline sono dedicate a La   Chaux-de-Fonds ed indirettamente all'ambiente in cui si forma Charles-Édouard   Jeanneret: è un'introduzione al suo interesse di ricavare dall'esistenza di   oggetti tecnici e artigianali un angolo di visione della modernità; sono gli   ingegneri ed il loro contributo "letterario" si potrebbe dire, a porre, sovente   senza saperlo, interrogativi inquietanti. Ne deriva un catalogo di contributori   sconosciuti alle tecniche moderne, inventori, artigiani, costruttori,   carpentieri, falegnami (come nella cartolina 99 quando parla dell'utopia   saintsimoniana di Léon Jamin), cementatori; tutti costruttori di un nuovo   pittoresco... Al tema dell'invenzione del restauro (e del restauro del moderno)   sono poi dedicate molte riflessioni, sino alla ricostruzione provvisoria della   sagoma del campanile della chiesa di San Francesco ad Aosta (nei termini non del   tutto "innocenti" come i tubi con cui è fissata). In alcuni casi diverse   cartoline sono legate tra loro in quanto appunti per una medesima storia, come   le quattro cartoline che sintetizzano la storia di Newark a partire dal 1666, o   quelle che descrivono la Ginevra dell'inizio del XX secolo.In molte   cartoline poi le problematiche poste si trasformano in indovinelli, che rivelano   le fatali doppiezze dei comportamenti di architetti ed   istituzioni. Naturalmente tutto questo è possibile perché Jacques Gubler è   uno storico degli ultimi due secoli (ma non disdegna certo il Rinascimento)   filologicamente quasi imbattibile, con una conoscenza dei documenti che   trasferisce alla formazione della modernità le metodologie di studio che gli   storici dell'arte antica utilizzano sulle ricerche d'archivio.
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 Franco Purini
 
 
 La misura italiana dell'architettura
 
 Laterza 2008, pp.200, € 18,00
 
        
          | Franco Purini delinea una serie di percorsi critici e interpretativi capaci di gettare nuova luce su vicende e figure emergenti del modo italiano di fare architettura nel secondo Novecento. Il suo discorso individua e delinea cinque componenti fondamentali attualmente attive e operanti nella nostra architettura, cinque diverse "generazioni" di architetti, ciascuna guidata da presupposti teorici e progetti culturali divergenti, quando non apertamente conflittuali. Se è possibile rintracciare una certa continuità tra la linea dell'affrancamento al dogmatismo modernista, perseguita da un gruppo di progettisti che oggi hanno tra i settanta e gli ottantanni e tra cui spiccano nomi come Vittorio Gregotti, Gae Aulenti, Guido Canella, e il successivo postmodernismo di architetti come lo stesso Purini, Renzo Piano, Massimiliano Fuksas, totalmente devoti al "progetto di crisi" di Manfredo Tafuri e fortemente segnati dal discorso politico del '68, la generazione dei cinquantenni di oggi segna una brusca e improvvisa rottura della continuità con la tradizione italiana. Dagli anni Ottanta gli architetti del nostro paese rinnegano l'operato dei loro predecessori per volgersi alle tesi internazionali dell'architettura olandese di Rem Koolhaas e a suggestioni americane e anglosassoni. Una tendenza che viene fatta propria, ed esasperata, anche dalle due generazioni successive 
 http://www.laterza.it/schedalibro.asp?isbn=9788842085171
 
 Franco Purini insegna Composizione Architettonica e Urbana presso la Facoltà di Architettura Valle Giulia dell'Università di Roma La Sapienza. È autore, tra l'altro, di Luogo e progetto (Roma 1976), Around the shadow line: beyond urban architecture (Londra 1984), Sette Paesaggi  (Milano 1989), O que està feito astà por fazer (Rio de Janeiro 1998), La città uguale  (Padova 2005). Tra le sue realizzazioni, il Sistema delle Piazze, la Casa del Farmacista e la Casa Pirello a Gibellina, un isolato residenziale a Napoli, il restauro delle Ex Scuderie Medicee di Poggio a Caiano, il Complesso Parrocchiale di San Giovanni Battista a Lecce. Ha recentemente progettato una torre residenziale a Roma e un grattacielo a Shanghai. Il suo lavoro è stato oggetto di numerose mostre in Italia e all'estero.
 
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 in libreria :.... di Suketu MehtaMaximum City Bombay città degli eccessiEinaudi 2006, 544 p., € 19.50
 
        
          | Il 14  aprile 1944 un mercantile inglese che ufficialmente trasportava balle  di cotone s'incendiò nella rada di Bombay e venne rimorchiato in porto  per facilitare le operazioni di spegnimento del fuoco. Le autorità  portuali non sapevano che la nave aveva un carico segreto, munizioni e  lingotti d'oro e d'argento. Quando l'incendio raggiunse gli esplosivi,  il mercantile saltò in aria uccidendo duecentonovantotto persone. Poi,  come racconta Suketu Mehta, «cominciò a piovere». Su tutta la città  piovvero detriti, mattoni, travi d'acciaio, membra e torsi umani, e  naturalmente oro e argento.Al centro dello stemma della Bombay di Mehta campeggiano le immagini  dell'esplosione e della disseminazione. Esplosione demografica,  esplosione dei conflitti tra etnie e religioni, frammentazione del  tessuto urbano e sociale. Bombay è uno dei luoghi in cui la modernità  esplode e si trasforma in una realtà di contrasti che abbagliano e  inquietano. Anche le figure dell'immaginario occidentale si  ripresentano esasperate nella forma e moltiplicate nel numero. Tutto, a  Bombay, è eccesso.
 Mehta sceglie il modo più affascinante ed efficace per raccontare la  città: ricostruire con il talento del grande narratore i mille romanzi  che s'intrecciano nelle strade della metropoli, giorno per giorno. Così  entrano in scena Sunil, il teppista indù che un giorno dà fuoco a un  musulmano e ottiene gloria e fortuna; Ajay Lal, il poliziotto onesto in  un mondo di corrotti; Monalisa, la ballerina del beer bar che sa come  condurre il gioco della seduzione; Mohsin, il killer della malavita che  vorrebbe un giorno sposarsi per amore. E naturalmente gli attori della  più grande industria cinematografica del mondo, quella di Bollywood,  dove la vita della città viene rimasticata e digerita per diventare  leggenda. Gangster, politici, ballerine, attori, affaristi, prostitute:  i personaggi di Maximum City cercavano il loro autore e l'hanno trovato.
 Suketu  Mehta è scrittore e giornalista. Ha pubblicato i suoi lavori su «The New  York Times Magazine», «Granta», «Harper's», «Time», «Condé  Nast Traveler», e «The Village Voice». Mehta ha anche partecipato  alla sceneggiatura di un film di Bollywood, Mission  Kashmir.  Con Einaudi ha pubblicato Maximum  City. Bombay città degli eccessi (2006 e 2008) :.... http://www.suketumehta.com/ |  |  
 
 
 
 
 in libreria :.... di Giuseppe Genna
 
 Italia De Profundis
 
 Minimum fax 2008, 352 p., € 15.00
 
        
          | Tra i pochi scrittori italiani celebrati anche all’estero, col suo Italia De   Profundis Giuseppe Genna porta agli estremi l’operazione chirurgica su se   stesso e il Paese in cui viviamo. Genna convoca i lettori in una sorta di   Stonehenge fatta di storie. Si formano sotto i nostri occhi episodi di   un’autobiografia impazzita, rivelazioni plausibilmente autentiche di quanto il   personaggio «Giuseppe Genna» ha vissuto: il drammatico ritrovamento del cadavere   del padre, in un’atmosfera lynchiana, una tardiva autoiniziazione all’eroina,   l’esplosione dell’iracondia in una forma che guarda alla scrittura di Burroughs   e l’intervento attivo e criminale nell’eutanasia di un caso simile a quello di   Piergiorgio Welby. Fino all’avventura surreale in una estate solitaria presso un   villaggio turistico in Sicilia, dove le tessere di questo racconto scomposto   trovano una soluzione che è esilarante fino all’inabissamento finale.Fiction   reale o realtà finzionale, questo libro pretende e concede un atto d’amore   assoluto, formulato come appello al lettore, affinché sia cancellato l’autore e   si ascolti l’inquietante risata con cui Genna stesso e l’Italia vengono   seppelliti.
 "Poiché per me la sua luce è terribile e la sua bellezza   immortale mi estenua, dove sto, Italia, è un luogo che ho disimparato ad amare.   Cieco tra ciechi mi muovo come le immagini note agli scrittori, e che ormai mi   sfiancano: un felino in attesa dell'assalto, proprio o dell'animale avversario;   una talpa che rientra con cautela nel terriccio smosso e umido della tana,   sporgendo il muso nero e lucido; una blatta inconsapevole che percorre il cono   d'ombra proiettato dalla suola di scarpa che grava da sopra, prima dello   schiacciamento, del luccichio finale dell'esoderma.Sono un mammifero esausto   nella luce terribile italiana.
 Sono un rettile che striscia dorsale a sigma   nella duna del deserto, discendendo, la duna di un anno mai definitivo, che in   questo caso è il 2007 dopo la nascita del Cristo.
 Ostacolo me stesso. Mi   isolo in una bolla: la chiamo: casa.
 Mi terapeutizzo. Ignoro.
 Al torchio   del vino della mia infamia, sottaciuta, trattenuta ad altezza sterno, strepitano   i figli della mia colpa: la figlia Rabbia, la figlia Indignazione, il figlio   degenerato Amami, la coppia incontenibile dei gemelli Orgoglio &   Riconoscimento."
 http://www.italiadeprofundis.com/ Giuseppe Genna http://www.giugenna.com/news/giuseppe_genna_bio.htmlianici |  |  
 
 
 
 
 
 
 in libreria :.... di Thomas Pynchon
 
 L' arcobaleno della gravità
 
 Rizzoli  1999, 976 p., € 11.36
 
        
          | Città Paranoia: pubblico un breve estratto dal dialogo tra Pointsman e Gwenhidwy, architettura e letteratura nella scia del Razzo “ Noi non siamo indispensabili, quelli del West End, quelli a nord del fiume invece sì. Oh, con questo non voglio certo dire che la Minaccia ha una certa forma. Una forma politica. No, il punto non è questo. Se la Città Paranoia sogna, non siamo certo noi a poter sapere cosa sogna. Forse la Cit-tà ha sognato un'altra città, una città ne-mica, ve-nuta dal mare, per invadere l’estuario… o ha sognato delle onde d’oscurità…di fuoco… Forse ha sognato di essere inghiottita di nuovo dal Continente Madre, immenso, silen-zioso. Comunque, quello che sogna la città non è affar mio…E se la cit-tà fosse invece un neo-plasma vivo, cresciuto nel corso dei secoli, cam-biando sempre forma, fino a raggiungere esattamente la forma con-giante delle sue paure peggiori, più segrete? Noi, pedine cenciose, alfieri disonorati, cavalli pusillanimi, siamo tutti condannati, perduti irrimediabilmente, abbandonati quaggiù, esposti al pericolo, ad a-spettare.”
 Alcuni siti rintracciati qua e là nella rete:il primo, una personale versione/visione illustrata del romanzo ad opera di Dr.Daw’s:… http://www.themodernword.com/gr/Il secondo – un lavoro davvero straordinario- indicizza l’immaginario visivo di riferimento di Gravity's Rainbow:...
 http://www.english.mnsu.edu/larsson/grnotes.html
 Scritto nel 1973, Gravity's Rainbow è riconosciuto come il capolavoro di Thomas Pynchon. Il libro suscitò scalpore per l'enciclopedismo e il virtuosismo linguistico che lo caratterizzavano e fu anche definito "uno dei più grandi romanzi storici del nostro tempo". L'ambiente storico - l'Inghilterra e l'Europa negli ultimi anni della seconda guerra mondiale - diventa la scena su cui si rappresenta la condizione esistenziale di tutta l'umanità, la V2 - l'arma di rappresaglia hitleriana - diventa l'emblema del nuovo tipo di minaccia che incombe su di essa.Nella sua discesa ad arco guidata dalla forza di gravità il razzo infrange idealmente e materialmente il patto intercorso tra Dio e Noè dopo il diluvio, la promessa che non vi sarebbe più stata distruzione sulla terra. Il castigo inflitto agli uomini questa volta non sarà la morte fisica, o almeno non solo quella, ma la "trasformazione silenziosa, neutrale, in macchine di indifferenza" che il razzo stesso rappresenta. In questo scenario si muove la figura del protagonista, Tyrone Slothrop, alla ricerca di un misterioso Razzo 00000.
 THOMAS PYNCHON è nato a Glen Cove, vicino a New York, nel 1937. È autore di romanzi diventati classici nella letteratura americana, tra cui, oltre a V., L’arcobaleno della gravità, Vineland, Mason & Dixon (pubblicati in Italia da Rizzoli). Vive appartato e non appare mai in pubblico. Nel 1974 ha ottenuto il National Book Award per L’arcobaleno della gravità. 
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 in libreria :... di Valerio Evangelisti
 
 Noi saremo tutto
 
 Strade Blu Mondadori 2004, 430 pp. , € 15,00
 
        
          |  Un estratto dalla recensione "Quando i Soviet presero Seattle" di WM1 su l'unità del 5 Novembre 2004 :
                Fa digrignare i denti e scartavetra le gengive, il nuovo romanzo di Valerio Evangelisti, Noi saremo tutto (Strade Blu Mondadori, pp.430, € 15). Ti ci avventi sopra, impasto di carne e piombo e frammenti d'ossa, e lo finisci con la bocca piena di sangue. Noi saremo tutto racconta la vita e la sopravvivenza, l'orgoglio di intere comunità ma anche l'abiezione, il tradimento, la Cartagine distrutta del movimento operaio americano.
 Dopo aver spento ogni fuoco di rivolta, gli States brancolano nel buio della loro storia, sotto un cielo di novilunio, in una piana circondata di nulla. Nell'esplorare quelle tenebre è utile fischiettare un ritornello. Per farsi coraggio, ma anche per usarlo a mo' di sonar. Tornano così alle labbra i canti dei wobblies, gli Industrial Workers of the World. Salgono, da pagine ingiallite di libri trovati chissà dove, gli inni del sindacalismo rivoluzionario e le strofe del poeta operaio Joe Hill. Rimbomba, oltre le nebbie del presente, la versione wobbly dell'Internazionale, che culmina nella citazione marxiana: We have been naught, we shall be all. Non eravamo nulla, saremo tutto.
 Evangelisti si è spinto nelle lande della damnatio memoriae, seguendo il persistere e periodico riemergere del mito IWW. Da Seattle a San Francisco a New York e di nuovo a Seattle. Dagli anni Venti agli anni Cinquanta fino agli ultimi giorni del secolo. L'epopea dei sindacati statunitensi, le grandi battaglie per il loro controllo ingaggiate su entrambe le coste da alleanze fluide, reversibili, un "tutti contro tutti" fra stalinisti, sindacati gialli, fascisti, gangster e governo federale.
 La ricostruzione di quei conflitti assume una consistenza colloidale, si nuota nella poltiglia di vite triturate.
 Evangelisti, prima di fare il romanziere, era uno storico del movimento operaio e socialista. Nei "titoli di coda" sciorina la più esoterica delle bibliografie, ma a colpire il lettore "sprovveduto" è soprattutto la non-chalance, l'apparente facilità con cui ricostruisce episodi dimenticati, riportando sul proscenio movimenti sradicati, spazzati via, annichiliti. In Antracite (2003) c'era il grande sciopero dei cow-boys del 1877. Qui c'è Seattle in mano ai soviet (come altro chiamarli?) durante il grande sciopero del '19, e c'è il blocco del porto di San Francisco nel '34, braccio di ferro coi padroni che i comunisti stravinsero (tanto da controllare il porto persino in epoca maccartista) e che cambiò il volto di quella città, ancora oggi la più progressista degli States, coi Verdi al 40%!
 Con la medesima disinvoltura, Evangelisti descrive i numerosi, improvvisi cambi di strategia del Partito Comunista di Earl Browder, sezione americana del Komintern: dalla fase estremista della "lotta al socialfascismo" alla politica dei fronti popolari, a cui seguì un mezzo rovesciamento di fronte per via del patto Molotov-Ribbentropp (1939), linea che però, dopo Pearl Harbor e l'invasione tedesca dell'Urss, lasciò il posto a una sorta di "patriottismo americano" interclassista
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 in libreria :.... di Giuseppe Genna
 
 DIES IRAE
 
 Rizzoli 24/7 2006, 762 p., € 17.50
 
 
        
          | Giugno ’81: a Vermicino Alfredo Rampi, 6 anni, è incastrato in un pozzo artesiano. Diciotto ore di diretta televisiva raccontano la sua drammatica fine trasformandolo in un’icona mediatica, Alfredino. L’Italia non lo dimenticherà mai più. Nelle stesse ore: la scoperta delle liste della loggia P2, il processo Calvi, l’edificazione della città satellite di Milano 3 a opera dei fratelli Berlusconi. È l’alba di una nuova Italia, rammodernata e corretta. Da chi? Ignara delle proprie ombre, la nazione-Titanic vara il suo decennio più patinato, gli Ottanta. Sulla scia, sballottati dalla Storia che nei decenni successivi stravolgerà il mondo — 1981-2006: la caduta del Muro, Tangentopoli, l’Iraq — galleggiano i personaggi di questo romanzo. Paola C., in fuga da un indicibile dramma, attraversa il tetro sottobosco tossico di Berlino e la scena psichedelica di Amsterdam. Monica B. vive la parabola ben poco spirituale della buona borghesia milanese. Giuseppe Genna dalla claustrofobia del suo alloggio abusivo tiene a bada gli spettri della sua famiglia e quello di Alfredino, che lo condurranno alla scoperta di un mistero inafferrabile. E usando un congegno per l’intercettazione della voce dei morti, scrive un libro segreto che profetizza le sorti della specie umana, fino all’estinzione del pianeta. Romanzo epico, proiettato su un teatro umano vastissimo, DIES IRAE si candida a ricoprire in Italia il ruolo di Underworld di DeLillo. È l’affresco vivo, ironico, disperato di venticinque anni di storia collettiva e individuale. Di personaggi che si aggirano appena fuori dalla storia o dietro le sue quinte, di generazioni che hanno rotto il patto che le lega e cercano disperatamente di restaurarlo. Un romanzo storico, borghese, sottoproletario, horror, metafisico. Che muove guerra alle certezze della storia e della mente, e non fa prigionieri. Giuseppe Genna è nato l’anno, il giorno, il minuto e il secondo dell’esplosione della bomba di piazza Fontana. Ha lavorato a Montecitorio ed è entrato in contatto con i Servizi Segreti, che gli hanno detto: “Per proteggerti, o taci su tutto o racconti tutto”. Ha scelto la seconda opzione.Quando Alfredino è morto nel pozzo di Vermicino, nei giorni in cui Gelli fuggiva ed esplodeva lo scandalo P2, il cadavere dello zio di Giuseppe Genna veniva riesumato: era indecomposto. Di qui, una storia di orrore e contatti medianici
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     n 
          libreria :.... 
          di 
          Francesco 
                Zardo
 
 I 
                  cuori infranti
 
 Cooper 
                    libri 
      2005, 139 p., € 11,00
 
         
          | "Sfortunatamente 
            i cuori infranti sono di rado infranti da qualcuno: essi si infrangono 
            e basta, come scontrandosi fra loro in un posto lontano, da un'altra 
            parte" Eliza 
              Schelling, titolare di una rubrica di posta del cuore, si 
              ritrova un giorno impigliata in un lungo carteggio, in parte pubblico 
              in parte privato, con uno dei suoi lettori. La corrispondenza con 
              Ernesto Radez inizierà a coinvolgerla 
              personalmente suo malgrado, in un climax sentimentale che, evaso 
              dalle pagine, andrà a intromettersi con prepotenza nella 
              sua vita personale. Un romanzo epistolare, 
                accompagnato dai migliori racconti finora "non pubblicabili" 
              di Francesco Zardo. Il libro utilizza l'ironia mescolando 
              comico e tragico, elementi autobiografici e di invenzione letteraria Qualcuno si aspettava, forse, un terzo volume della serie Come sopravvivere
 
              E lo scriverò senz'altro quando un editore illuminato mi 
              procurerà una penthouse newyorkese e di che vivere a Manhattan 
              per un anno. Per il momento, siccome le storie me le devo arrangiare 
              qui per conto mio, è convenuto inventarsele: I cuori infranti, 
              da qualche giorno nelle librerie del regno, è dunque narrativa, 
              quella che molti al giorno d'oggi definiscono fiction. Una fiction! 
              Tipo Commesse, tipo La piovra, in sostanza. Ma subito respingo il 
              termine fiction, e rientro nel pacifico mondo della carta stampata, 
              come ai tempi di Benedetto Croce, di Thomas Hobbes, di Oriana Fallaci! 
              Sette racconti a 11 euro, meno di una serata in pizzeria, meno di 
              comprare un Dvd con un giornale, meno di una crociera alle Bahamas 
              e senza il rischio di scottature, che la letteratura non scotta, 
              non sempre almeno. ( Francesco Zardo)
 on 
              line la registrazione dell'intervista all'autore 
              a Fahrenheit :... http://www.radio.rai.it/radio3/fahrenheit |  |        in 
        libreria :.... 
        di Wu Ming 1
 New 
            Thing
 
 Einaudi 
            stile libero-Big 2004, 220 pp. 
                , € 13,00
 
         
          | Butoba 
            MT5, fabbricazione tedesca, anni Sessanta. Registratore a bobine. 
            Voci escono, confondono, trasformano in vapore la condensa dei ricordi. 
            Ti circonda, nuvola di nomi, luoghi e persone, liste di morti e feriti 
            e canzoni. E torni a Brooklyn, primavera del '67. Quando Stokely Carmichael 
            parlava ovunque di Black Power. Tutto quello che un movimento dovrebbe 
            essere, ed è stato, prende forma quarant’anni dopo, in 
            una narrazione corale avvolgente e piena di suspense. Il romanzo solista 
            di Wu Ming 1, uno dei cinque cervelli del collettivo Wu 
            Ming. Nell'anno 
              prima del Sessantotto l'America è già in fiamme, scossa 
              dai tumulti razziali e dalla protesta contro la guerra in Vietnam. 
              A New York, dopo le morti violente di alcuni musicisti dell'avanguardia 
              jazz, la vox populi afroamericana diffonde la storia (o la leggenda?) 
              di uno sfuggente assassino, il «Figlio di Whiteman». 
              Esiste davvero? E se sì, agisce per conto proprio o è 
              uno strumento dell'establishment? Psicosi, paranoia, ognuno dice 
              e dirà la sua. Quarant'anni dopo, nell'America della "War on Terror", 
              una divagante compagnia di reduci - intervistati da chi? - racconta 
              la storia della giovane cronista Sonia Langmut, scomparsa nel nulla 
              poche settimane dopo i fatti, divenuta a sua volta leggenda. Sullo 
              sfondo, l'ascesa del Potere Nero e della "nuova cosa", 
              New Thing, il jazz libero di Albert Ayler, Archie Shepp, Bill Dixon... 
              e il nume tutelare, John Coltrane. Nei giorni degli omicidi, "Trane" 
              sta morendo di cancro al fegato e conduce un duro monologo interiore, 
              di riepilogo di tutta la sua vita.
 Punti di vista particolari che insieme fanno una visione generale, 
              passando continuamente dai voli d'uccello sulla città ai 
              primi piani sull'umanità dolente dei vicoli e dei night club.
 
 |  |                the mighty Andy War  :... visita
 http://www.digitalkomix.com
 
        
          | La postazione remota di Andrea Guerra  Immagini suoni animazioni links:un trasmettitore sempre attivo che lancia informazioni /
 un antenna che raccoglie vibrazioni da una realtà in mutamento.
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          | onvideo:.... La Vita agra // di Carlo Lizzani con Ugo Tognazzi, Giovanna Ralli soggetto tratto dal romanzo omonimo di Luciano Bianciardi 
 Tratto dal libro omonimo, scritto da Luciano Bianciardi nel '62, il film di Lizzani porta sullo schermo, a due anni di distanza dalla pubblicazione, la storia di Luciano Bianchi (Ugo Tognazzi), intellettuale di provincia che, dopo esser stato licenziato, si trasferisce a Milano per far saltare in aria il "torracchione", il grattacielo sede dell'azienda proprietaria della miniera, in cui lui lavorava come animatore culturale, distrutta da un'esplosione che ha provocato la morte di 43 persone. A contatto con l'alienante vita cittadina, sospeso tra la storia d'amore con Anna (Giovanna Ralli) e lavori di traduzione a cottimo accettati per mantenere la doppia famiglia (la moglie e il figlio sono rimasti al paese), l'impeto rivoluzionario si smorza in un progressivo imborghesimento che lo porta a integrarsi in quel sistema che voleva combattere, al punto che, divenuto un pubblicitario affermato, finisce per creare lo slogan per la stessa azienda che doveva far saltare in aria. Nel passaggio dal libro al film l'amara ironia bianciardiana, impietosa verso il sistema quanto verso lo stesso autore, si stempera in una tiepida satira di costume impoverita dalle trovate comiche e macchiette di contorno aggiunte in fase di sceneggiatura probabilmente per esigenze produttive (il bucato fatto con i piedi dai coinquilini della pensione, la segretaria del professore polacco che incanta i pappagalli del paese) in cui il finale consolatorio con il protagonista, che a differenza del romanzo, fa rimanere la moglie e manda via l'amante lascia un profondo senso di delusione. Vanno comunque segnalate alcune belle intuizioni del regista (la scena del colloquio "televisivo" che Luciano ha con la segretaria della grande azienda mineraria, il suo monologo sul sesso con l'accompagnamento in sottofondo di Jannacci, le riprese delle orde dei pedoni in marcia nel traffico). Lizzani mette in scena il tutto cercando di svecchiare lo stile con frequenti fermo immagini e ripetuti sguardi in macchina del protagonista. ( via sentieri selvaggi:...http://www.sentieriselvaggi.it/articolo.asp)
 
 
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          | onstereo:....Atlas Sound / Let the Blind Lead Those Who Can See but Cannot Feel 
 Bradford Cox spent the summer he was 16 in a children's hospital having multiple surgeries on his chest and back. His condition, Marfan syndrome, has proven difficult to separate from his music. Cox's lost summer hangs over his songs, and his gawky physique has been the dress-draped centerpiece of his band's confrontational live shows. At the same time, he can also be defensive about his appearance, using it to explain why his music's detractors are sometimes as hyperbolic as his most fervent admirers. Thousands of words later, other music critics still ask me what I could possibly like in Cox's work. Cox plays and sings in Atlanta five-piece Deerhunter, but it's tempting to say he actually lives as Atlas Sound. He's used the name for his solo recordings ever since the sixth grade, and lately his output has been almost nonstop: He's posted roughly 70 new tracks, mostly originals, on his blog since last July. Deerhunter's Cryptograms and Fluorescent Grey EP expertly brought together elements of krautrock, psych, shoegaze, ambient, post-punk, and indie rock, but Atlas Sound's full-length debut turns inward from that band's high-volume squall. Cox also trades the four-track of previous Atlas Sound vinyl splits for a laptop. The result is a gauzy bedroom pop album that drifts from ambient bliss-outs to sadsack avant-garage, from hospitals to heartache, as if passing through different stages of sleep on a sunny afternoon. No previous interest in Deerhunter required.) Cox spent the summer he was 25 touring and recording Let the Blind Lead Those Who Can See But Cannot Feel. But the fears of nine years earlier stalk the album's corridors. Opener "A Ghost Story" sets a hissy sample of a young boy clumsily narrating over the fluorescent hum of treated, sampled glockenspiel. Childhood innocence gives way to to adolescent confusion on the waltz-like "Recent Bedroom", as a music box crashes headlong into squiggly guitars and bustling percussion. A Zimbabwean instrument called a mbira and some bells from Ghana waft through guitars and collaged drums on "Quarantined", a song that evokes both children's hospitals and a sense of unresolved metamorphosis: "I am waiting to be changed." (Marc Hogan, via Pitchfotk:.. http://pitchfork.com/reviews/albums/)
 
 :... http://www.myspace.com/bradfordcox
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 on line:.... di  WM1 / Noi dobbiamo essere i genitori   / La "valle perturbante" della nuova narrativa e la necessità di  immaginare il futuro, oltre i blocchi emotivi che ostruiscono la visione
 
 
 
 
        
          | Vorrei citare lo scomparso David Foster Wallace. Questo è uno  stralcio da una famosa, classica intervista rilasciata a Larry  McCaffery per la "Review of Contemporary Fiction", estate 1993. E'  l'ultimissima risposta, ed è molto interessante:
 "Questi ultimi anni dell'era postmoderna mi sono  sembrati un po' come quando sei alle superiori e i tuoi genitori  partono e tu organizzi una festa. Chiami tutti i tuoi amici e metti su  questo selvaggio, disgustoso, favoloso party, e per un po' va  benissimo, è sfrenato e liberatorio, l'autorità parentale se ne è  andata, è spodestata, il gatto è via e i topi gozzovigliano nel  dionisiaco. Ma poi il tempo passa e il party si fa sempre più  chiassoso, e le droghe finiscono, e nessuno ha soldi per comprarne  altre, e le cose cominciano a rompersi o rovesciarsi, e ci sono  bruciature di sigaretta sul sofà, e tu sei il padrone di casa, è anche  casa tua, così, pian piano, cominci a desiderare che i tuoi genitori  tornino e ristabiliscano un po' di ordine, cazzo... Non è una  similitudine perfetta, ma è come mi sento, è come sento la mia  generazione di scrittori e intellettuali o qualunque cosa siano, sento  che sono le tre del mattino e il sofà è bruciacchiato e qualcuno ha  vomitato nel portaombrelli e noi vorremmo che la baldoria finisse.  L'opera di parricidio compiuta dai fondatori del postmoderno è stata  importante, ma il parricidio genera orfani, e nessuna baldoria può  compensare il fatto che gli scrittori della mia età sono stati orfani  letterari negli anni della loro formazione. Stiamo sperando che i  genitori tornino, e chiaramente questa voglia ci mette a disagio,  voglio dire: c'è qualcosa che non va in noi? Cosa siamo, delle mezze  seghe? Non sarà che abbiamo bisogno di autorità e paletti? E poi arriva  il disagio più acuto, quando lentamente ci rendiamo conto che in realtà  i genitori non torneranno più - e che noi dovremo essere i genitori"
 
 Da quell'intervista sono passati quindici lunghi anni, Wallace non è  più tra noi e finalmente capiamo quanto avesse ragione. Noi dobbiamo  essere i genitori, i capostipiti, i nuovi fondatori. Abbiamo  bisogno di riappropriarci di un senso del futuro, perché sotto il sole  sta accadendo qualcosa di radicalmente nuovo. E' un pericolo senza  precedenti, è un GROSSO problema e il disincanto non è la soluzione  migliore.A mio avviso il dispotismo dell'ironia ha prodotto una sindrome sociale affine all'asimbolia del dolore.
 L'asimbolia del dolore è una sindrome neurologica, causata da un danno  alla corteccia insulare del cervello. Non rispondi al dolore in modo  emotivo, o dài la risposta emotiva sbagliata: ti metti a ridere. ( un estratto dallo scritto di WM1)
 
 :... http://www.carmillaonline.com/archives/2008/10/002804.html
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          | onstereo:....Gonzales / Soft power 
 Qui si tratta di un capolavoro di talento e genialità creativa, ma soprattutto di ironia: ironia a carrettate a vagonate ironia e “goliarda sapienza”; è senz'altro vero - come ho letto sulla fuffa di settore relegata negli ascolti frugali ed ai tempi della stampa pubblicistica – che l'ultimo lavoro di Gonzales ha il sapore dei primi album di Billy Joel o di Maurizio Vannelli, ma etichettarlo come un tributo al pop fine 70 è un eresia. Qui dentro c'è un infinità di stimoli musicali, c'è il musical classico che ti riporta ai dolci duetti tra Gene Kelly e Fred Astaire (singins something), c'è il contemporaneo low-fi homegrown (theme from in-betw), la parodia chic del miglior Lanny Kravitz (map of the world) e c'è il dolce ritornello ninna nanna in piena estasi fifties (modalisa). Questa estate ha risuonato parecchio nella nostra macchina e alfine di ritorno dalle spiagge tutta la famiglia a cantare Working together!
 Un vero gioiello! (cp)
 
 Hi Gang! It happened. The album is out! everywhere, excluding such unimportant terrirtories as Great Britain (September) Canada (June 3rd) Japan (July something) and Bolivia (never). Thanks for listening and keep coming out to the concerts, I love abusing I mean amusing you all. And now some videos. Here's what ha-ha-happened when I signed my contract with the musical caliphate Mercury Records/Universal. (gonzales) :....  http://www.myspace.com/gonzpiration
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          | onstereo:.... Beck / Modern guilt 
 
 Beck torna, ma in fondo non ci ha mai lasciato. Un buon disco, forse a tratti un po' piatto un po' ripetitivo si insomma estremizzando: noioso. Ma con Beck non siamo mica difronte all'ultimo arrivato, la boy band o il cantautore che cerca di sedurre i palati fini, no signori, tutt'altro: Beck è un classico contemporano, un innovatore del pop. Americano. In assoluto il più americano dei musicisti e cantautori contemporanei: americano come lo possono essere solo i Beach Boys i Jefferson Airplane Bob Dylan o i Beastie Boys, americano come Jimy Hendrix ed i fast food. Dunque qui come allora gli ingredienti sono sempre scelti e selezionati: psicadelia, hip-hop, rock elettrico, ballads, blues: un miscuglio, una pozione eclettica e luminescente in cui fluisce tutta la melanconia di un uomo sapiente e consapevole: un vero artista. Con il suo ennesimo pezzo di alta cucina pronto da consumare. Last but not least, la produzione del prodotto e condivisa con Danger Mouse (vedi alla voce:Gnas Barkley) e dalla mie parti si dice: e se sente! (cp)
 
 http://www.modernguilt.com/
 
 http://www.myspace.com/beck
 |  |            Popol Vuh:.... Hosianna mantra / Pilz records 1973       
        
          | "Hosianna" e "Mantra"; due termini eterei e mistici che rappresentano due filosofie distanti, due religioni agli antipodi, e un solo rivoluzionario progetto musicale: quello di fondere in un unico flusso sonoro rivelazione cristiana e ritualità induista, tradizione classica occidentale e canti vedici, riscoperta dell'antico e proiezione verso il futuro. Florian Fricke, mente e spirito dei Popol Vuh , lo concepì dopo l'altro suo capolavoro " In Der Garten Pharaos " del 1971. A differenza di quest'ultimo, però, "Hosianna Mantra" rinunciava al mezzo tecnico più usato dai musicisti tedeschi dei primi anni Settanta: l'elettronica, elemento distintivo del rock d'avanguardia teutonico, veniva abbandonata perché, secondo le parole dello stesso Fricke, dato la sua artificiosità, risultava poco funzionale per esprimere la purezza e la profondità dei suoi inni religiosi. Fricke lavorò su arrangiamenti semplici ma non scarni, preferendo una strumentazione acustica in larga parte di stampo "colto" (piano, clavicembalo, oboe, violino), con componenti rock nelle chitarre, più il tocco di esotismo della tamboura (uno strumento a corde indiano ideale per produrre bordoni). I suoi raffinati comprimari furono il chitarrista Conny Veit degli Amon Duul II , la soprano giapponese Djong Yun, il violinista Fritz Sonnleitner, Robert Eliscu all'oboe e Klaus Wiese alla tamboura ( via http://www.ondarock.it/pietremiliari/popolvuh_hosiannamantra.htm ) 
 
 
 |  |          Tangerine Dream:.... Rubycon / Virgin records 1975  
        
          | So how could Tangerine Dream follow up a record that not only had been an unexpected international breakthrough, but also one of their definitive artistic achievements? Easy! They just further perfected and smoothened the formula of that very album, and came up with not just their most perfect work but perhaps also the best album of the entire genre they operated in. "Rubycon" is one of the few albums where you honestly can say that not an entire second is mediocre or wasted. It's a peak as high as the band possibly ever could reach. It was also their first album consisting of just one 40-minute long track that only was broken up by the two sides of the record. It starts with some sounds where the mood alternates between dark and light, before it beautifully and graciously rises up toward a grandiose and haunting part with some fantastic atmospheres that in a dream take us to the ocean. It quiets down after a while, and starts to build up some tension to prepare us for the sequenced part. Together with eerie Mellotrons, distorted piano-chords and droning organs, the electronic sequenced rhythms carry you away in the same dreamlike state as "Phaedra" did. The second part of "Rubycon" starts quite dark and sinister, with an almost metallic, gloomy tone dragging up and down that evolves into a spooky Mellotron-choir in the same tone. The part with the sequenced rhythms is a bit more dramatic and energetic here than on the first side, and features some effective backwards guitar from Froese. The sequencer part ends in something that sounds like electronic swells toward the shore. The finale is a bit brighter, consisting of Mellotron-flute around dreamy and mysterious synths that conjure up images of light. This music is so magic and precious to me that I wouldn't trade it in for anything else in the world. ( via:... http://www.vintageprog.com/ttt.htm#rub
 
 |  |        on screen:.... di  Danny Boyle / Slumdog Millionaire 
 
 
        
          | « A Jamal Malik manca una risposta per vincere 20 milioni di rupie. Come ha fatto?  
              A: Ha imbrogliato.B: È fortunato.C: È un genio.
                D: Era scritto. » Is a 2008 British drama film directed by  Danny Boyle, co-directed by Loveleen Tandan, and written by Simon  Beaufoy. It is an adaptation of the Boeke Prize-winning and  Commonwealth Writers' Prize-nominated novel Q & A (2005) by  Indian author and diplomat Vikas Swarup. The film received the  Academy Awards for Best Picture and Best Director, along with six  other Academy Awards. Set and filmed in India, Slumdog Millionaire tells the story of a  young man from the slums of Mumbai who appears on the Indian version  of Who Wants to Be a Millionaire? (Kaun Banega Crorepati, mentioned  in the Hindi version) and exceeds people's expectations, arousing the  suspicions of the game show host and of law enforcement officials.  It premiered in Mumbai on  January 22, 2009. Slumdog Millionaire was nominated for 10 Academy Awards and won  eight, the most for any film that year, including Best Picture and  Best Director. It also won five Critics' Choice Awards, four Golden  Globes, and seven BAFTA Awards, including Best Film. The film is also the subject of controversy concerning its  portrayal of India, Hinduism, alleged persecution of minorities and  the welfare of its child actors. :.... http://en.wikipedia.org/wiki/Slumdog_Millionaire
 
 NB:: In una drammatica sequenza, il protagonista e suo fratello perdono la  madre durante un assalto perpetrato da integralisti hindu ai danni dei  musulmani di Bombay. Nel doppiaggio italiano è stato invertito il senso  di una frase, in modo da indurre a credere che gli assalitori fossero  di religione musulmana e gli assaliti di religione hindu.
                         |  |          da marzo al cinema:.... di Wes Anderson / The Darjeeling Limited        
        
          | trama:Tre fratelli e un viaggio in treno, attraverso i paesaggi affascinanti dell'India, per compiere un viaggio spirituale che diventa un modo per ritrovare se stessi e riscoprire un rapporto famigliare che si credeva perso; il nuovo film di Wes Anderson ritorna ad occuparsi delle tematiche che lo hanno portato al successo ( I Tenenbaum , Le avventure acquatiche di Steve Zissou ) e lo fa con il suo inconfondibile stile allegorico e visionario. Owen Wilson , Adrien Brody e Jason Schwartzman interpretano Francis , Peter e Jack : tre fratelli che dopo la morte del padre non si sono più incontrati. Il maggiore della famiglia, Francis , li obbliga a compiere un viaggio spirituale, dopo aver subito un incidente che lo ha lasciato gravemente ferito e gli ha fatto capire l'importanza della famiglia. Peter si presenta sul treno The Darjeeling limited con le valigie ed altri oggetti paterni, lasciandosi alle spalle una moglie incinta. Il minore, Jack , è uno scrittore non ancora ripresosi dalla fine della sua storia d'amore. Nonostante la precisa organizzazione di ogni aspetto del viaggio, una serie di eventi inaspettati e tragicomici costringerà i tre fratelli a proseguire il proprio cammino da soli e senza guida, tra momenti drammatici e situazioni surreali.
 Wes Anderson ha scritto The Darjeeling limited  insieme a Roman Coppola e Schwartzman . Sono presenti, ma solamente per brevi apparizioni, Bill Murray e Anjelica Houston (la madre dei fratelli); Natalie Portman (nel ruolo dell'ex fidanzata di Jack ) recita invece in Hotel Chevalier  cortometraggio che precede la proiezione del film.
 
 Wes Anderson: è nato a Houston, Texas, nel 1969. Texano Ha studiato filosofia all'Università del Texas, dove ha conosciuto l'amico/attore Owen Wilson, co-sceneggiatore dei primi tre film. Nel cinema ha esordito nel 1994 con il corto in 16 mm Bottle Rocket , diventato poi un lungometraggio nel 1996 ( Un colpo da dilettanti ). Nel 1998 ha attirato l'attenzione della critica con Rushmore , ritratto dolceamaro e in parte autobiografico di un adolescente ipercreativo, immaturo e capriccioso. Grande successo nel 2001 per I Tenenbaum , ritratto di una bizzarra famiglia newyorkese di ex bambini prodigio. Del 2005 è la successiva commedia sullo stile de I Tenenbaum , con un cast di tutto rispetto capeggiato dal laconico Bill Murray, Le avventure acquatiche di Steve Zissou , divertente parodia delle avventure di Jacques Cousteau
 
 filmografia: 1994 Bottle Rocket (cortometraggio) / 1996 Bottle Rocket / 1998 Rushmore / 2001 The Royal Tenenbaums / 2004 The Life Aquatic with Steve Zissou  / 2007 The Darjeeling Limited
 sito: http://www.foxsearchlight.com/thedarjeelinglimited/
 
 |  |            Murcof :.... cosmos/ leaf records, 2007       
        
          | Fernando Corona's long-awaited third album as Murcof marks a dramatic departure from previous works. Truly monumental in scale, Cosmos is composed almost entirely of recordings of classical instruments, a process which Corona describes as “expanding the possibilities of acoustic instruments through electronics.” It's a move away from the micro-programmed sound he helped to pioneer, and his seamless integration of these apparently opposed forms is almost unprecedented. These new recordings were inspired by a very simple motion, the act of tilting the head towards the skies, or as Corona puts it: “Cosmos basically comes from that state of wonder and mystery and joy and humbling that you get when you let your mind wander freely on a starry night, away from the contamination of city lights. From the realization that there's an infinite universe outside the man-made world and how silly this latter one seems in comparison.” Originally intended as an EP, the early Cosmos tracks were so mesmerizing that those around Corona encouraged him to make it a full-length. His past approach involved mixing disembodied orchestral passages amidst microbeats, letting a song shift and mutate in a minimal environment. With Cosmos, he has progressed towards a more sophisticated compositional mode. The immensity of tracks like the monolithic twins ‘Cosmos I' and ‘Cosmos II' draw to mind the work of the German electronic pioneers of the ‘70s or the Hungarian composer György Ligeti  as much as the visceral, low-end rumblings of SunnO)))  or Coil . Murcof's compositions have always been as much about the absence of sound as what you actually hear, and these techniques are further refined here. (via http://posteverything.com/releases/22335):... http://www.murcof.com/main.html
 
 |  |        Ananda Shankar :... Self titled / reprise records, 1970       
        
          | Sure, this record really isn't more than an exploitation of the crossover   between psychedelic music and Eastern sounds, but that shouldn't detract anyone   from listening to it in its entirety; in fact, that would be a huge mistake. The   opener, the sitar- and Moog-soaked take on "Jumpin' Jack Flash," is performed   perfectly, with every choice accent milked for maximum drama. Once the novelty   of sitar-dosed covers of your favorite songs wears off, you really begin to   notice how excellent the performances are on this record. Ananda Shankar manages to bridge   the gap between kitsch and fine art on these tracks, from the opener all the way   to the cover of "Light My Fire." One minute he is playing simple notes like it   was taking the place of a guitar, at other times utilizing the full reign of the   sitar's sound possibilities. The originals on the album follow an equally   impressive path. The dreamy, hazy bliss of tracks like "Snow Flower" and   "Mamata" is both meditative and slinky -- light melodies with twisted   atmospherics and tweaked Moogs. The drum breaks in the gurgling "Metamorphosis"   are worth the price of the album alone. For the most part, the album rarely   strays from the East-meets-West formula, with the Eastern rhythms getting the   short shrift and the focus relying on Western funk and pop styles getting an   Eastern makeover. Not that this is bad at all, but when the track "Sagar" ends,   you realize that this record could have been much more than it was. This   specific track guides the listener through a space/water odyssey over the course   of 13 minutes. Jon Pruett, All Music   Guide (via www.artistdirect.com )  |  |            Eugene 
        McDaniels :... Headless Heroes of the Apocalypse / Label M, 1970  
        
          | Quando 
            uscì per la prima volta nel 1971, Headless Heroes of the 
            Apocalypse fu bandito ed interdetto. Poco prima di ultimare la realizzazione 
            dell’album, il vice presidente degli 
            states Spiro Agnew ascoltò i testi 
              di Eugene McDaniels è li trovò così offensivi 
              che chiamò l’Atlantic per costringerli ad interromperne 
              la promozione. Un disco raro la cui eredità si è 
            tramandata attraverso il tempo, resistendo agli attacchi ed alle 
            censure.  Un Oggetto di culto per Dj e collezionisti. Un distillato di linguaggi 
              e cultura nera (Gil Scott heron, Pharoa, Coltrane, 
                Hayes, Van Peebles, Miles..) campionato tra gli altri dai Beasty Boys - un colpo al cuore sentire 
              il "Better get it together/And see what's happening,"di Get It Together su "Ill Communication"- e dai Tribe called Quest di People instinctive 
                travel to the path…( il campione è Jagger 
                  the Dagger ). Come se non bastasse la line-up jazz-rock 
              della registrazione è da antologia; tra gli altri, direttamente 
              dai Weather report più sperimentali, Alphonse Mouzon alla batteria e Miroslav 
                Vitous al basso. Pre fusion del 1973 dunque, in tutta la sua eleganza e stile. Un disco unico nella sua 
              bellezza.(cp) |  |  ^ 
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